Le pause e i buoni pasto non sono qualcosa di superfluo, ma diventano proprio un diritto: cosa dice la legge e come non farsi fregare.
In un modo costantemente di fretta, dove la performance conta sopra ogni cosa e il riposo sembra essere un optional da “pigri”, e non qualcosa di funzionale alla salute e anche al miglioramento delle nostre attività, sono sempre di più le persone che hanno problemi con il lavoro.

Avere un’occupazione che garantisce ritmi adeguati per vivere la propria vita e anche la giusta retribuzione, ad oggi, può sembrare utopistico; figuriamoci, appunto, se i lavoratori pensano alle pause pranzo e ai buoni pasto.
Eppure, la Suprema Corte di Cassazione ha sancito che, in questi casi specifici, la pausa pranzo è un diritto del lavoratore, e non qualcosa che si “concede” per magnanimità; i dettagli del caso, attenzione a non farti fregare.
La Cassazione su pausa pranzo e buoni pasto: ecco perché è un diritto
Come riportato da nursetimes.org, attraverso l’ordinanza n. 23370 del 16 agosto 2025, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in merito ad una vertenza riguardante il diritto di pausa e dell’eventuale consumazione del pasto dopo le sei ore lavorative.

Viene quindi accolto il ricorso presentata dal lavoratore in questione per mancata fruizione del diritto alla mensa o al buono pasto sostitutivo, ai sensi dell’art. 29 del CCNL e dell’art. 8 del Dlgs 66/2003. La normativa parla quindi chiaro: chi svolge più di sei ore consecutive di lavoro deve avere un momento per riposare, mangiare e recuperare dall’attività lavorativa.
Ovviamente, questa pausa va integrata con le esigenze dell’attività lavorativa, ma per normativa non può essere inferiore ai 10 minuti o superare le 2 ore e non dove compromettere il benessere del lavoratore. La gestione della pausa pranzo è meglio regolata dai CCNL, dove vengono stabilite le modalità di applicazione per ogni settore; non è detto che debba essere per forza allo scadere delle 6 ore, perché ad esempio nei lavori di ufficio avviene tendenzialmente dopo 4 o 5 ore di attività.
Le eccezioni sono composte da attività lavorative particolari, come a esempio nei contesti sanitari, di trasporto pubblico o di produzione industriale; in ogni caso, nonostante i ritmi dell’attività lavorativa siano diversi, anche qui la gestione della pausa, per quanto più flessibile (suddividendola magari in intervalli più frequenti ma più brevi) è sempre fondamentale.
La pausa pranzo, a prescindere dalla sua gestione, è infatti parte integrante dell’attività lavorativa, un aspetto non trascurabile e uno strumento che permette al lavoratore di gestire le energie psicofisiche sul posto di lavoro.